Un anno senza pubblico allo stadio?
domenica 12 Aprile 2020 - Ore 22:43 - Autore: Dimitri Canello
Da settimane navighiamo a vista in mezzo alla bufera, non guardiamo troppo in là perché siamo troppo impegnati a non sfracellarci contro uno scoglio che spunta all’improvviso quando meno te l’aspetti, siamo travolti da un marasma da cui non siamo purtroppo ancora fuori. Siamo bombardati di notizie negative, da quando ci svegliamo e accendiamo il cellulare con le prime notifiche che ti lampeggiano sul display fino alla sera quando spegni la luce e magari cerchi l’ultimo articolo da leggere prima di dormire. E anche quando il vento sembra cambiare c’è sempre un articolo che ti spiazza, che ti distrugge dentro perché racconta verità atroci, che forse non siamo preparati ad affrontare. Ci sono i social che schiumano rabbia, arriva una telefonata che ti racconta di una persona a te vicina che si è ammalata. Siamo circondati di misure restrittive che, anche quando sei dentro la legge, c’è sempre qualcuno che spinto dalla frustrazione e dalla tensione può urlarti dietro qualcosa da un balcone o incrociandoti lungo la strada. C’è chi ha perso il lavoro, chi lo perderà, chi ondeggerà ma forse ce la farà, in pochi possono dirsi al riparo dalla bufera.
In un quadro simile e in un 2020 da incubo, come si fa a parlare di calcio? Confesso che mai come in quest’ultimo periodo fatico a leggere le cronache sportive, le fonti che divoro sono i quotidiani nazionali di punta, mentre il resto è confinato a qualche puntata qua e là alla ricerca di qualcosa che ti faccia sperare, alla ricerca di positività. Oggi su un quotidiano ho letto che allo stadio non si potrà tornare prima di marzo 2021, che prima di allora ci saranno soltanto partite a porte chiuse. La prospettiva avvilente, per la quale nessuno al momento ha una risposta certa, mi ha fatto riflettere e pensare. Tutti gli altri sport, chi prima e chi dopo, hanno alzato bandiera bianca. Lo ha fatto il rugby, lo ha fatto il volley fra polemiche, lo ha fatto il basket non senza penare. Il calcio resiste al virus maledetto e spera di ricominciare a fine maggio. Potrebbe anche riuscirci, ma le incognite sono talmente tante che non serve neppure uno sforzo di immaginazione per capire che sarà come essere in un campo minato e che basterà poco per far saltare il banco.
Al momento la priorità è la salute, non quella di concludere i campionati. Su questo credo che in pochi la pensino diversamente. Ma la Figc cerca di evitare lo stop perché ci sono troppi interessi economici in ballo e perché sarebbe il caos per quanto riguarda promozioni e retrocessioni. Qualsiasi soluzione, in caso di stop anticipato, creerebbe code e ricorsi estivi infiniti, con l’ennesimo capitolo fra una stagione e l’altra nei tribunali. Alle nostre latitudini sarebbero coinvolte Venezia (al momento quintultimo in B) e soprattutto Vicenza (primo in C). Davvero non vorrei essere nei panni di chi dovrà, nel caso, decidere come risolvere il rebus. Gabriele Gravina sa perfettamente cosa lo aspetterebbe e, anche per questo, tifa come un forsennato perché si riprenda a giocare, anche fra un mese e mezzo e anche trasformando il calcio d’estate in calcio vero. Senza pubblico, ma con traguardi e punti in palio tutti da seguire.
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