Pordenone, sotto il diluvio ecco una B da applausi: Tacopina e Marchetti con furore, quel toc toc dell’Arzignano dal piano di sotto e la linea dritta di Trieste
lunedì 29 Aprile 2019 - Ore 00:04 - Autore: Dimitri Canello
Il 6 maggio del 2017, sotto un autentico diluvio, Attilio Tesser centrava un’impresa eccezionale: rimontare dieci punti all’Alessandria e portare la Cremonese in Serie B. Sono passati due anni meno qualche giorno e il 28 aprile 2019 lo scenario non è più quello drammatico dello Zini con le maglie grigiorosse e dall’altra parte del campo la Racing Roma, ma il vecchio velodromo Bottecchia: pronto per la pensione, ma che si vuole congedare con una pagina leggendaria. Detto, fatto: dopo quasi 100 anni di storia, Pordenone è in Serie B. Quella maglia che indossano i giocatori e che veste sotto la giacca pure Tesser “Mai stati in Serie B” da stasera è barrata con una gigantesca “X”. Il successo sulla Giana Erminio è scolpito su pietra, è tempo soltanto di festeggiare. E basta, perché oggi è giusto così. Perché oggi è giusto tributare il doveroso onore a una società che forse è andata anche oltre le proprie possibilità, è giusto celebrare un tecnico che ormai colleziona successi ad ogni latitudine, è giusto levarsi il cappello di fronte a un gruppo che ha scalato le montagne e un presidente che è arrivato sull’Olimpo, dove nessuno pensava che sarebbe arrivato. Perché quando Tesser dice che c’erano almeno quattro squadre sulla carta più forti del Pordenone non lo sta dicendo perché vuole accrescere i suoi meriti. Non ce n’è alcun bisogno. Non ce n’è alcun bisogno perché è davvero così. Il Pordenone non partiva coi favori del pronostico, sulla carta forse aveva una squadra che non era superiore a quella dello scorso anno. Ma quando Mauro Lovisa dice “ho scelto un allenatore fenomenale” dice una cosa sacrosanta. Perché con Tesser in C, se lo si lascia lavorare, si può vincere anche se non si è i più forti (sulla carta). Si vince con la forza di un gruppo di ferro e con la forza delle idee.
So che molti di voi si chiederanno e magari mi chiederanno cosa accadrà adesso e la verità è che la partita è ancora aperta: Udine o Treviso, da qui non si scappa. Ognuna delle due strade ha controindicazioni, Lovisa non ha ancora deciso. Non sarà una scelta facile e, qualsiasi essa sia, non sarà priva di conseguenze. Se non oggi, basterà pazientare qualche tempo per capire quello che scrivo attorno alla mezzanotte del 29 aprile. E come sempre sarà una questione di soldi, perché alla fine i traguardi si raggiungono anche grazie a quelli. Oggi è giusto soltanto levarsi il cappello e tributare il giusto onore al Pordenone per l’impresa raggiunta. Perché gli elogi sono strameritati.
Mentre salutiamo e celebriamo il Pordenone che sale al secondo piano e che brinda per la B, in B ci vorrebbe restare pure il Venezia. Che però perde malissimo col Crotone e finisce preda di una crisi di nervi. Tacopina fa una sfuriata senza precedenti, attacca la squadra sparando a zero su tutto e tutti, promette che il prossimo anno, comunque andrà, cambierà tutto. Oggi per tutti il problema sono Valentino Angeloni e i suoi acquisti, il problema è Andrea Rogg. Io invece penso che il problema non siano gli acquisti sbagliati, ma sia la gestione quotidiana della squadra, perché il lavoro di un direttore sportivo non si esaurisce il 31 agosto quando finisce il mercato estivo, o il 31 gennaio quando finisce il mercato invernale. C’è la quotidianità, c’è la credibilità e ci sono i rapporti con i giocatori. Tacopina ha un credito residuo importante da mettere sul piatto della bilancia, in tre anni ha fatto meraviglie, al quarto dovrà soffrire le pene dell’inferno per salvare la categoria. E quello di ascoltare le parole sagge e mai banali di Serse Cosmi è il suggerimento migliore che si possa dare. Perché quando perdi 4-1 in casa con una diretta concorrente, “anomala” finché si vuole perché partita con ben altri obiettivi, ma pur sempre una concorrente, anche l’allenatore non può essere esente da colpe. Ma i problemi sono ben altri che non Cosmi o il suo operato in mezzo a mille infortuni e il Venezia si può salvare solo se non smette di seguirlo. E se non perde la testa. Perché Cosmi sa come si fa e se l’Ascoli oggi prova a giocarsi i playoff è anche grazie a quella meravigliosa e miracolosa salvezza ottenuta l’anno scorso.
Stiamo sempre in B e, di sfogo in sfogo, ecco che ci pensa Stefano Marchetti, 24 ore dopo, a far tremare i muri. Il dg attacca frontalmente il pubblico del Tombolato, c’è persino chi sostiene che possa aver rivolto un dito medio alla Tribuna Est dopo qualche fischio e qualche insulto di troppo. C’è chi pensa sia un attacco pretestuoso per fare le valigie e andare a Vicenza, conoscendolo un po’ mi sento di escludere questa opzione. Marchetti è questo, prendere o lasciare, non accetta che il pubblico perda la dimensione che deve avere Cittadella, un paese di 20mila abitanti che con il budget più basso della B continua a giocarsi i playoff e a restare sempre lassù, con il sogno di salire al piano di sopra. E’ il rovescio della medaglia delle piccole realtà, come il Chievo, che scopre improvvisamente che fare la Serie A per un quartiere di Verona è diventata la cosa più normale del mondo. E invece non è così, perché per fare calcio, anche in assenza o comunque con pressioni largamente inferiori, ci vogliono capacità e progettualità. Oggi Campedelli è nella bufera, ma il Chievo ha nella bacheca di famiglia più campionati di Serie A del Padova che sta per tornare in Serie C, giusto per fare un esempio a latitudini vicine. Oggi il Cittadella è in Serie B e può ancora arrivare i playoff, ma non va mai dimenticato di cosa e di chi stiamo parlando.
Dal piano di sotto bussa improvvisamente l’Arzignano. Un colpo quasi impercettibile alla porta: “Sono Lino Chilese”. Qualche tempo fa aveva accarezzato pure l’idea di comprare il Vicenza, poi non se n’è fatto nulla. Lui è andato avanti, è diventato socio di Renzo Rosso e oggi porta il piccolo Arzignano in Serie C. Salvo imprese epiche del Vicenza, il prossimo anno andrà in scena un derby atipico, semplicemente impensabile solo un paio d’anni fa. Eppure la geografia del calcio cambia alla velocità della luce e nell’annus horribilis del calcio veneto (Chievo retrocesso, Padova quasi, Venezia in bilico, Verona che boccheggia, Vicenza che viaggia a marce basse, Treviso praticamente sparito dai radar e umiliato dalla gestione Pioppi), c’è anche qualcuno che sa stupire. E arriva, non per caso, sempre dalla provincia.
Chiusura con la Triestina. Massimo Pavanel chiuderà secondo e adesso si prepara ai playoff. La strada è una linea dritta, non bisogna fermarsi né spaventarsi. Se gioca così, la Triestina può ancora far sognare. Perché Trieste manca da troppo tempo al piano più in alto. E magari, dopo Arzignano dal piano di sotto, fra qualche settimana chissà: qualcun altro, guardando molto più a Est, busserà al piano di sopra….
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