Pavanel il gigante, il Menti e una maglia che pesa, allenatori che cambiano come figurine: Vicenza, Venezia e Padova alla resa dei conti
martedì 19 Marzo 2019 - Ore 08:00 - Autore: Dimitri Canello
Editoriale in ritardo, questa settimana, considerato il posticipo Pordenone-Monza e gli scossoni tellurici che continuano a imperversare in Triveneto e dintorni. Ricapitoliamo: Colella, Serena, Colella. Bisoli, Foscarini, Bisoli, Centurioni. Vecchi, Zenga, Cosmi. Vicenza, Padova, Venezia, una stagione di tormenti e di allenatori che saltano come birilli. Che ritornano, che se ne vanno, che si dimettono, che litigano, che si arrabbiano, che si infuriano e che non riescono a trovare il bandolo della matasssa. Di solito, quando il valzer dura più del dovuto, è il segnale che la stagione volge al peggio. E’ così a Vicenza, dove come prevedibile neppure il ritorno di Colella ha risolto come un colpo di bacchetta magica i problemi che, in tutta evidenza, non riguardano soltanto la sfera tecnica. La Triestina si è imposta al Menti con pieno merito, ha vinto e ha mostrato carattere e muscoli dopo aver perso in casa col Pordenone. Il rischio era quello di un contraccolpo psicologico importante dopo il ko col Pordenone, invece ancora una volta nel momento di massima difficoltà, Massimo Pavanel è emerso come un autentico gigante. Anche nel giorno in cui finisce in ospedale, magari per l’eccessiva tensione. Siamo davvero felici che si sia rimesso immediatamente. Perché lo stimiamo come allenatore, perché chi non chiacchiera e, di fronte a una panchina che traballa, fa i fatti e supera il guado, poi ne esce più forte. Questa è la seconda volta che succede, il segnale che questa stagione sta facendo bene a tutti. A Trieste, alla squadra, alla società, a Pavanel stesso per crescere. E i posti ai playoff sono due e non uno, particolare da non dimenticare mai.
A Vicenza in pochi giorni sono arrivate due sconfitte interne. Ricordo, quando iniziai la mia carriera professionale, che la prima vera esperienza importante fu al Menti col magico Vicenza di Guidolin. Lo ricordo come fosse ieri. Ero un ragazzino, andavo allo stadio la domenica pomeriggio con l’entusiasmo di chi inizia un’avventura che non si sa dove porterà, facevo collegamenti radiofonici per un’emittente nazionale e quello stadio mi affascinava da matti. Perché era una bolgia autentica, perché quando segnava il Vicenza tremavano le transenne, le sedie, i tavolini dei giornalisti e a volte pensavi che sarebbe venuto giù tutto. In radio da Milano, fino a quando non arrivarono le linee ISDN, non si sentiva nulla perché i tifosi facevano troppo rumore e su quel campo caddero, una dopo l’altra teste eccellenti. Perché dico questo? Perché il Menti era un vero fortino ed è incredibile che in uno stadio come quello di Via Schio, il Vicenza non riesca a vincere una partita addirittura dall’11 novembre. Ma c’è una spiegazione. Allenatori a parte, giocare davanti a quel pubblico non è da tutti. La maglia pesa, le responsabilità si sentono e quando le cose vanno male il pallone scotta. Per questo servono giocatori di spessore, di personalità, che abbiano forza morale. Ecco, più che nella qualità dell’organico, che magari non sarà da primi tre posti, ma non è nemmeno da decimo, bisognerà che il prossimo anno si pensi prima di tutto a questi aspetti, quando si va a fare la spesa al supermercato del pallone. E il discorso coinvolge non solo i giocatori, ma anche chi siederà in panchina e pure chi governerà tutto dalla scrivania. Perché il lavoro di un direttore sportivo non si esaurisce il giorno che si chiude il mercato a Milano. Ma è anche e soprattutto quando la stagione fa il suo corso settimana dopo settimana.
Discorso che vale anche e soprattutto per Venezia. Dove è mancato soprattutto un riferimento con le spalle larghe in cabina di comando. Cosmi è sbarcato a Venezia e ha pareggiato due volte in casa. Bentivoglio ha detto chiaro e tondo che la gente si è rotta le palle di sentire sempre le stesse cose e sempre le stesse spiegazioni. Tutto corretto. Il valzer in panchina è un segnale di instabilità, perché nei tre anni precedenti era filato tutto liscio come l’olio. Poi è successo che il budget per forza di cose si è ridotto, perché nessuna società può spendere a lungo certe cifre. E c’è da essere contenti che sia stato così, perché significa che dietro si agisce con testa e non si apre il portafoglio senza un criterio. Tacopina ha preso Valentino Angeloni, che è un bravissimo capo scout e che secondo me ha fatto un mercato buono sia in estate che in inverno, sottolineando con forza un concetto: considerando le risorse che aveva. Il problema è che il salto da capo scout a direttore sportivo non è semplice e qui probabilmente c’è uno dei problemi di Venezia. Angeloni conosce i giocatori e ne ha presi di veramente validi, il problema è che l’addio di Perinetti ha aperto una voragine, che Rinaudo era riuscito a colmare il vuoto almeno temporaneamente. Ma poi ci vorrebbe un altro direttore così, con le spalle larghe e l’esperienza, senza mettere in discussione le qualità da scopritore di talenti di Angeloni. Cosmi sa bene che per salvare il Venezia dovrà sudare tanto quanto ha fatto ad Ascoli. E deve sperare che la sosta gli riporti i giocatori assenti. Sono convinto che Tacopina abbia fatto bene a prendere lui, ma ho l’impressione che il Venezia dovrà soffrire fino alla fine. E che dall’esito di questa stagione dipenderà anche il futuro del club, in positivo o in negativo.
Il Padova boccheggia. Bisoli è stato esonerato, inevitabilmente, perché mettere la polvere sotto il tappeto non è mai una buona idea. E l’errore (grave) è stato quello di richiamarlo. Era giusto esonerare Foscarini, che purtroppo non è riuscito a trovare la chiave per arrivare almeno fino a gennaio limitando i danni, ma la scelta di Centurioni andava fatta tre mesi fa, non il 17 marzo. Adesso potrebbe essere troppo tardi, ma ci sono 24 punti e andrà fatto tutto il possibile per arrivare fino in fondo agganciando quantomeno i playoff. Missione difficilissima, ai limiti dell’impresa epica. Ma nel calcio ho visto di tutto per suonare già il “de profundis”. Non è ancora ora. Poi ci sarà tempo per sviscerare tutto
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