I miracoli di Zironelli, il campo minato Venezia-Mestre, Bassano un anno dopo e i misteri di Vicenza
giovedì 15 Marzo 2018 - Ore 23:19 - Autore: Dimitri Canello
Si accendono ancora una volta le luci: in vetrina Vicenza, Mestre, Padova e Venezia, un quadrilatero che sforna spunti a ripetizione. Ma cominciamo da Verona, dove la settimana è stata quella delle sliding doors: esce il Chievo, entra l’Hellas e chissà se sarà questa la risposta definitiva in chiave campionato. Rolando Maran è un tattico eccellente, ma ha un grosso difetto palesato già in passato altrove. Quando è sotto pressione, tende a deragliare, il motivo per cui una carriera che avrebbe potuto essere sfavillante si è fermata spesso in provincia. Il Chievo ha ancora tutte le possibilità di salvarsi, il problema è che un ciclo si sta esaurendo e non sono stati innestati gli anticorpi necessari per sostituire le truppe ormai stanche di un calcio che fu. L’estate scorsa sarebbe dovuto arrivare Stefano Marchetti, era la scelta giusta per entrambe le parti, nessuno ha la sfera di cristallo, ma è ragionevole pensare che avrebbe fatto bene, in quella che aveva tutte le caratteristiche per essere la naturale prosecuzione della sua storia nella città murata. Nessuna garanzia di ripetere i successi di Cittadella, certo, ma la sensazione è che le premesse fossero giuste. Poi Marchetti ancora una volta si è tirato indietro all’ultimo momento, al suo posto è arrivato Giancarlo Romairone che onestamente non è proprio la stessa cosa. E così, persino il traballante Verona del triumvirato Pecchia – Fusco – Setti potrebbe riuscire a centrare una salvezza che sarebbe sorprendente, considerate tutte le perplessità sull’attuale guida tecnica sollevate praticamente dalla totalità degli addetti ai lavori. Per le sentenze, però, pregasi ripassare più avanti.
Il quadrilatero, dunque. Il 20 marzo 2017 il Venezia a Bassano mise una serissima ipoteca sulla promozione e quella sera, con un gol di Falzerano al 94′, fu tutto più chiaro nella corsa alla B. Quella sera allo stadio c’era il direttore generale del Padova Giorgio Zamuner, che vide definitivamente tramontare la rincorsa impossibile alla capolista. Perché quel Venezia, rispetto a quel Padova, era semplicemente più forte. Più squadra, più completo, più attrezzato. Dodici mesi e qualche giorno in meno dopo, il destino ha deciso nuovamente di far accadere qualcosa d’importante al Mercante. Ancora una volta con lo stesso risultato: 2-1. Cadenze diverse, partita diversa, dettagli diversi. Il Padova vince e vede spalancarsi le porte del paradiso: se davvero riuscirà a seguire le tracce arancioneroverdi, la data da cerchiare in rosso sul calendario è quella di lunedì 12 marzo. Perché a Bassano, pur non essendo ancora arrivato il momento della bandiera a scacchi, l’impressione è che la capolista abbia quantomeno imboccato il rettilineo finale.
Il quadrilatero, parte seconda. Tappa a Mestre, dove Mauro Zironelli sforna l’ennesimo capolavoro di una stagione strepitosa. Prendete la rosa del Mestre, costruita con poche risorse, con tanti giocatori al debutto in categoria, con giovani e rammendi apposti qua e là. Metti pure un vecchio leone con tanta classe (Neto Pereira), in mezzo a un gruppo che segue senza esitare il suo guru ed ecco spiegato il miracolo Mestre. Perché di miracolo, in tutta evidenza, si tratta. Zironelli tatticamente è un mostro, offre uno spaccato di modernità calcistica con un modulo (il 3-5-2) che è molto difficile rendere spettacolare e redditizio allo stesso tempo. Se poi aggiungiamo che il Mestre è l’unica squadra costretta a giocare un intero campionato senza uno stadio proprio, con esilio forzato a 65 chilometri dalla città a cadenze bisettimanali, ecco che il miracolo assume contorni strabilianti.
Il quadrilatero, parte terza. Si parte sempre da Mestre, per muoversi in un campo minato verso la laguna, a Venezia. A Stefano Serena bisogna soltanto fare i complimenti, perché ha raccolto dalle ceneri una realtà sepolta e le ha restituito dignità, centralità e attenzioni. Si è rimboccato le maniche e ha voluto rappresentare coloro che non si sono riconosciuti nella fusione fra Venezia e Mestre che nel 1987 mandò in frantumi una tifoseria. E i cui effetti ancora oggi covano sotto la cenere. Lodevole, legittimo, apprezzabile. La miccia, però, stavolta l’ha innescata Serena, con una dichiarazione a mio parere inutilmente provocatoria. Quando il presidente spiega a un sito che “la maglia arancioneroverde non esiste, non può esistere e non potrà mai esistere” va oltre e va fuori strada. Tralasciando il fatto che lo stesso sito, tempo fa, aveva magnificato le lodi di chi non aveva mai messo piede prima di allora nel mondo del calcio, definendolo “uomo di calcio e di cultura”, ignorando totalmente dettagli di una vicenda complessa e sproloquiando entusiasta senza minimamente tenere in considerazione patteggiamenti per bancarotta fraudolenta (quasi fosse una quisquilia), le parole di Serena sono state definite in questo caso «chiare, lodevoli, pensiero saggio, giusto, tralatizio». Evidentemente, ahimé, anche qui si ignora il peso che le stesse possono avere. La reazione del Venezia è stata sobria, un post sul profilo ufficiale con una foto di Tacopina e un’altra con il Penzo strapieno ai tempi della A: «Qualcuno qualche giorno fa ha detto che la maglia arancioneroverde non esiste. Noi preferiamo che a parlare per noi siano i fatti e la storia. Buon campionato a tutti!#VFC #LeoniDentro». Sul web la rabbia si è presto espansa a macchia d’olio, come si poteva immaginare. Pensiero personale all’interno di un campo minato: impossibile imporre a qualcuno qualcosa in cui non si riconosce (leggi chi non si sente unionista), fuori luogo denigrare qualcosa in cui tantissime persone in laguna e dintorni si riconoscono. Un suggerimento: ognuno faccia il proprio, lo spazio per convivere c’è, le strade non necessariamente si devono unire, soprattutto quando certe posizioni sono e resteranno inconciliabili.
Chiusura serale dedicata al Vicenza: quadrilatero, parte quattro. Il curatore fallimentare Nerio De Bortoli ha vissuto una settimana complicata, scivolando più volte su terreni su cui sarebbe stato il caso di non avventurarsi. Quando lo stesso, come se fosse la cosa più naturale del mondo, ringrazia Gianluigi Polato, uno dei principali artefici dello sfacelo e del fallimento del club e srotola tappetini rossi a Dario Cassingena, la cui gestione societaria assieme al padre ha prodotto l’attuale default e, come se non fosse bastato, è stata persino premiata con un contratto da segretario generale (rinnovato quando la barca stava affondando!), non può che aspettarsi una reazione durissima come quella della Curva Sud. I tifosi biancorossi hanno dato ancora una volta prova di essere un tesoro prezioso, che dissipare sarebbe follia. L’ho già detto una volta, lo ripeto. De Bortoli fa esercizio di equilibrismo in una situazione difficile e complessa, in poche settimane ha visto ridursi drasticamente la fiducia dei giocatori, che gli hanno mandato messaggi sempre più espliciti di insofferenza, soprattutto dopo la richiesta di ridursi lo stipendio del 20%. Non è lui (o almeno non solo lui) a dover salvare il Vicenza, De Bortoli deve tutelare i creditori. La grande assente ad oggi è proprio l’imprenditoria vicentina, sorda ad appelli e un club con 116 anni di storia servito su un piatto d’argento. Dopo le montagne russe degli ultimi mesi, adesso si entra nel momento più delicato. Nessuno può sapere con certezza come finirà. Forse, oggi, neppure basterebbero le arti divinatorie.
Post scriptum. Sono passati 120 giorni e ancora non è arrivata la penalizzazione in classifica di 4 punti che il Vicenza dovrebbe prendere per il mancato pagamento delle mensilità di settembre e ottobre. Arriverà? Per ora c’è un deferimento e più passa il tempo e più un campionato che già adesso definire falsato è puro eufemismo assumerà i contorni di una farsa. I club che competono col Vicenza sono in fibrillazione, perché per leggere la graduatoria ci vuole una guida, perché fra turni di riposo, squadre che spariscono (Modena), altre che rimangono in vita con l’esercizio provvisorio (legittimamente, visto che la legge lo permette), si entra in una giungla senza uscita. Domanda: perché la Giustizia Sportiva agisce con questo ritardo? Evidentemente non è bastato quanto accaduto in passato, quando il Bassano (esempio calzante alle nostre latitudini) si vide “scippare” la promozione da organi giudicanti che prima tolsero (al Novara) e poi restituirono (come un orologio svizzero, sempre al Novara) nel momento delle sentenze. Così no, per favore. Nell’anno in cui tocca pure leggere che le partite dell’Arezzo che vengono rinviate “garantiscono la regolarità del campionato” (sic!), sarebbe bello finalmente poter parlare di una competizione credibile. E non di altro. Senza per questo essere tacciati di voler vivere in un modo ideale e patinato.
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