Vicenza, il primo posto è già un miraggio. Triestina, quel nemico inatteso fa più danni di qualsiasi avversario. Padova, un cucchiaio di quasi follia. Venezia, terremoti e assestamenti: c’è la A nel mirino
domenica 29 Ottobre 2023 - Ore 22:30 - Autore: Dimitri Canello
Domenica 29 ottobre potrebbe essere ricordata come la data in cui il Vicenza ha già messo in archivio l’obiettivo di conquistare la promozione diretta in Serie B. Il derby col Padova, in questo senso, era un’ultima spiaggia, l’ultimo appiglio per dare un segnale forte al campionato e per rimanere aggrappati con una vittoria piena al treno di testa. Oggi i biancorossi non vincono da cinque partite, hanno conquistato due punti sugli ultimi quindici disponibili, hanno ben dieci punti di svantaggio dalla capolista Mantova, sette dal duo Padova – Triestina e ben sette squadre davanti. Un flop epocale, per una squadra che sulla carta aveva e ha tutto, ma proprio tutto, per primeggiare. Il calcio ci ha abituato a rimonte incredibili, ma risulta oggettivamente molto complicato pensare che Aimo Diana sia in grado di rimontare sette avversarie, di cui tre con un gap già pesante da colmare. Quante possibilità ci sono che riesca l’impresa? A mio parere non più del 10% e mi tengo pure largo. Difficile, se non quasi impossibile, immaginare il crollo di ben tre squadre e la contemporanea resurrezione biancorossa con un filotto clamoroso e con margine d’errore ridotto praticamente a zero. Sul campo Vicenza – Padova è stato un derby tirato, che ha vissuto di vari momenti. E’ partito bene il Vicenza, che nei primi quindici minuti, come aveva già fatto a Trieste, ha messo pressione al Padova mantenendo sempre il pallino del gioco in mano, poi è uscito il Padova che ha costruito ben tre palle gol nitide (molto bravo Confente in due di queste). Nel momento migliore biancoscudato ha segnato Sandon, un padovano di Abano Terme che ha sfruttato al meglio l’occasione che gli è capitata. Il Padova ci ha messo un po’ a riorganizzarsi, ha sofferto le assenze e non poteva essere diversamente visto che mancavano tre dei cinque attaccanti a disposizione di Torrente (De Marchi è l’ultima scelta e anche oggi si è capito il perché), poi nella ripresa il Vicenza ha spinto, ha sfiorato due volte il 2-0, mentre i biancoscudati sono calati, riuscendo comunque a farsi vivi dalle parti di Confente con Capelli e Fusi. L’episodio che cambia il match e forse il campionato arriva a otto minuti dalla fine: su una punizione molto dubbia, Radrezza mette un pallone in area e Confente commette una sciocchezza difficile da spiegare, più che mai dopo aver giocato una partita sin lì perfetta. Rigore evidente ed evitabile, sul dischetto va Radrezza che, con una sfrontatezza quasi folle, trasforma il penalty con il cucchiaio. Il Padova (quattro pareggi nelle ultime cinque uscite, ancora imbattuto), può giocarsela, anche se non è la più forte. In sala stampa, peraltro, c’era un’aria da funerale su sponda biancorossa e si capisce perfettamente il perché: al di là delle dichiarazioni ufficiali anche Diana, l’uomo chiamato per vincere il campionato che già oggi si trova a far fronte a una situazione inconcepibile considerate le risorse investite, sa perfettamente che per il primo posto ci vuole un miracolo, o giù di lì. Il Mantova ha vinto a Verona con la Virtus e mi sta sorprendendo. Continuo a non vedere un Mantova primo a fine stagione, ma le giornate passano e Possanzini sforna un’impresa dopo l’altra. Giusto considerare quello che per ora ha detto il campo e la prima mini-fuga della stagione e giusto prendere sul serio quanto sta accadendo.
Vedo molto bene la Triestina, ma c’è un nemico inatteso, il cosiddetto fuoco amico, che rischia di fare più danni di qualsiasi avversario. E cioè il Comune di Trieste, responsabile primo di uno scempio che, a mia memoria, non ha precedenti da quando faccio questo mestiere. E’ incredibile la faccia tosta del sindaco Roberto Dipiazza, a cui bisognerebbe sbattere in faccia le immagini di quello che è successo sabato con il Fiorenzuola. Due infortuni (Germano e D’Urso), pezzi di terreno che saltano, giocatori che affondano, ginocchia messe a dura prova, caviglie che possono saltare per un movimento falso, persino l’arbitro che si procura una distorsione. Secondo l’ineffabile assessorato allo sport e il primo cittadino di Trieste, “il campo è perfetto”. Ma con quale coraggio si può sostenere questo? La Triestina, a questo punto, deve considerare seriamente l’ipotesi di migrare a Fontanafredda o a Lignano (comunque vada, un danno enorme) e di pretendere un rifacimento completo del terreno di gioco, anche a costo di attendere due mesi, anche a costo di intentare azioni legali all’amministrazione. Il Comune non ha altra strada che rimboccarsi le maniche, chiedere scusa, abbassare il capo e ricominciare da zero. Cosa dobbiamo attendere? Che i giocatori saltino come birilli e che mezza squadra si fermi per infortuni più o meno gravi? Il calcio è una cosa seria e anche amministrare una città dovrebbe esserlo, in tutte le sue sfaccettature, soprattutto di fronte a investitori che hanno creduto nella città e nella sua squadra di calcio, puntando ingenti risorse su Trieste e sul Rocco. Lo sport e una squadra cittadina capace di portare quattro anni fa 22mila persone allo stadio meritano rispetto e meritano di giocare su un terreno all’altezza, non su una distesa raffazzonata qua e là, con trappole d’erba e di fango disseminate ovunque. Se non ci fosse questo (grave) problema, oggi la Triestina sarebbe la favorita d’obbligo per la vittoria del campionato. Ha una rosa profonda e variegata, un allenatore che è una garanzia assoluta di successo come Tesser, ha solo una falla da tappare a gennaio sulla fascia sinistra, ha un Correia che non c’entra nulla con questa categoria e che oggi è il miglior regista della terza serie. Un attacco che segna, una difesa che regge, un portiere cresciuto vertiginosamente, qualche primattore. Pagherà l’assenza di D’Urso, una tegola pesantissima e deve augurarsi che lo stop sia limitato nel tempo, per il resto deve incrociare le dita e convivere con un nemico che mai si sarebbe aspettata di dover fronteggiare. Pensava che gli avversari sarebbero stati il Vicenza, il Padova, il Mantova, la Virtus Verona, invece il nemico è lì, in città, a pochi passi dal quartier generale alabardato. Per tacere dei concerti fissati a giugno, un’altra assurdità senza eguali, è davvero inaccettabile quello che sta accadendo.
Nella settimana in cui l’Arzignano perde a Zanica e si prepara al derby con il Vicenza con il coltello fra i denti, in cui il Legnago crolla a Crema sotto i colpi di Mazzarani e in cui il Trento si ferma con l’Alessandria, palesando i soliti problemi offensivi, da risolvere assolutamente a gennaio, se non prima, arrivano due notizie importanti dalla Serie B. Pierpaolo Bisoli è entrato a tal punto nella testa dei suoi giocatori, da aver superato anche il guado del secondo anno. Mi riesce difficile, se non impossibile, immaginare un crollo del Südtirol, che ha dimostrato affidabilità assoluta e che può tranquillamente puntare ai playoff come obiettivo stagionale. Tre gol dal 77′ al 99′, Sampdoria ribaltata, Ciervo ormai decollato, Odogwu corazziere (e pensare che si voleva cederlo in C, nella migliore delle ipotesi), Pecorino astro nascente, Rauti prossima scommessa da vincere: i successi del tecnico sono innegabili, ben al di là delle qualità tecniche dell’organico costruito.
L’altra notizia arriva da Venezia, dopo una settimana a dir poco turbolenta. La differenza, in un campionato così complicato come quello di B, la fa la gestione delle sconfitte. Fateci caso. Dopo il ko col Palermo, il Venezia ha battuto Modena e Parma in sequenza, dopo lo scivolone di Reggio Emilia, ecco la splendida vittoria sul Pisa, per giunta in rimonta. E se non segna Pohjanpalo, le luci della ribalta si accendono sui tanto vituperati esterni arancioneroverdi. Segna Pierini, che firma un super gol, poi finalmente ci pensa Johnsen, l’uomo da cui invano si è atteso un salto di qualità in questi ultimi due anni. Salto di qualità mai arrivato. Sarà questa la volta buona? Non basta un indizio, attendiamo altre conferme, ma Vanoli ottiene il massimo da chi ha pungolato, stuzzicato, spinto a far meglio. Capitan Modolo dimostra di essere ancora integro, in attesa dei ritorni di Idzes e Svoboda, a centrocampo c’è Jajalo quasi pronto, ma intanto ci si gode un Busio e un Tessmann in versione extralusso. Due parole anche sulla società: vi avevamo parlato in tempi non sospetti di grossi movimenti e, se ancora non lo si fosse capito, si sta preparando una svolta epocale, ossia un cambio di proprietà. Giusto chiamare le cose con il nome giusto, se poi Niederauer, solitamente prudente in questi casi, si sbilancia così tanto, un motivo deve pur esserci. Vista la solidità del progetto, un centro sportivo all’avanguardia, un nuovo stadio che sembra, stavolta sì, possa vedere la luce entro tre anni, è lecito (e dietro le quinte qualche conferma arriva) attendersi un ulteriore upgrade. Venezia punta a riconquistare la Serie A e poi a consolidarsi, per diventare una realtà del calcio italiano. Oggi ci sono tutti gli ingredienti per poterlo fare.
Pillole finali. Si ferma il Cittadella, che cede prima a Pisa e poi con la Cremonese, dimostrando di avere qualche limite evidente, ma che ben si conosceva, cambia l’Udinese, che con Cioffi in panchina impone il pareggio a un Monza che ultimamente è un’avversaria tostissima da affrontare. La prima vittoria è ancora una chimera, Sottil non sembrava essere il problema dell’Udinese e il ritorno di Cioffi che ha fatto tanto discutere fa pensare per tanti motivi. Oggi l’organico bianconero è più debole della passata stagione, oggi salvarsi dev’essere l’unico obiettivo, oggi bisogna cercare di scavare nel gruppo e ottenerne il meglio, perché la missione permanenza nella massima serie sarà molto complicata. Una luce nel tunnel la accende Lucca, finalmente a segno con un gol pesante dopo un diluvio di critiche, per il resto si vedrà. L’amaro nel finale, tocca al Verona. Sconfitta a Torino senza neppure provarci, pensando soltanto a difendersi a oltranza, così davvero non va. La Juve segna al 97′, ma costruisce, senza esagerare, quindici palle gol. Perdere a Torino si può, così no. I segnali una squadra li dà anche affrontando con coraggio le avversarie più forti, non chiudendosi in un bunker sperando che un pari scenda dal cielo. Così, è giusto dirlo a chiare lettere, non ci si salva, fermi restando i limiti dell’organico che è impossibile non vedere anche a occhio nudo.
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