Treviso, Zanato: “Soddisfatto del settore giovanile: progetto valido! L’esperienza all’Inter, e sul ciclismo…”
martedì 6 Dicembre 2022 - Ore 22:00 - Autore: Pietro Zaja
Ogni squadra che si rispetti deve fare affidamento su un settore giovanile di livello. Il Treviso non è da meno. Da qualche anno a questa parte è stato avviato un progetto ambizioso e genuino, che ci ha raccontato Alessandro Zanato, responsabile del settore giovanile biancoceleste e con un trascorso all’Inter Accademy Japan, alla Liventina e allo Jesolo. Ecco le sue parole a Trivenetogoal.
Come ti stai trovando a Treviso e di cosa ti occupi nello specifico?
“A Treviso mi trovo bene, nel senso che abbiamo una società che, sfortuna loro, è ripartita pochi mesi prima del Covid e quindi ha sofferto per un anno e mezzo tutto quello che hanno sofferto le società dilettantistiche e non. Con l’ aggravante che era il primo anno, quindi sono partiti un po’ a handicap. Io sono arrivato qui nella stagione 2021/2022 e abbiamo cercato di rimettere in piedi quel settore giovanile del Treviso che una volta era il fiore all’occhiello dell’attività della Marca. Una volta i giocatori del settore giovanile del Treviso, quando la squadra era tra i professionisti, poteva vantare delle squadre che andavano a giocarsi delle partite a Milano, piuttosto che a Bergamo, che in altre realtà. Siamo partiti da zero, ma stiamo ottenendo ottimi risultati. Dopo un anno e mezzo di lavoro abbiamo dei numeri che sono grossi, perché nella Scuola Calcio, nei bambini Piccoli Amici e Primi Calci, abbiamo più di 90 bambini. Poi a salire, Pulcini, Esordienti, Giovanissimi, Allievi, la conta finale fa 340/345 tesserati. Quindi, numeri veramente importanti per una società che, quando siamo partiti un anno e mezzo fa, contava 160. Adesso siamo nel territorio, a detta di molti e soprattutto dei genitori, la realtà che ha le strutture, un progetto tecnico, che sta crescendo e dà qualità al lavoro dei nostri tecnici. Siamo soddisfatti. Da qui si può solo migliorare. Tutte le squadre nella fase agonistica sono nel campionato Elite e nei campionati sperimentali. Il livello è un buon livello, siamo nelle parti alte delle classifiche, e da qui si cresce. Abbiamo avviato dei nuovi progetti all’interno del percorso classico del Settore Giovanile. Quest’anno, con una società esterna, che si chiama Coordinativamente, abbiamo attivato il percorso motorio con finalità calcistiche per i bambini tra i 3/4/5 anni, nella palestra di San Bartolomeo al sabato mattina e con un’altra società esterna, la Beon System, abbiamo messo in piedi un progetto di sviluppo della soglia di attenzione dei bambini 2013. Anche qui presenteremo il tutto a gennaio presso la sala stampa del Treviso, perché abbiamo avuto dei risultati abbastanza sorprendenti e che ci portano a pensare che questo progetto può essere nel tempo parte integrante dell’attività del Treviso. Sono proprio soddisfatto perché sta nascendo qualcosa di importante”.
Come sono organizzate le strutture?
“Noi abbiamo la fortuna di avere il nuovo campo in sintetico a San Bartolomeo, che ci permette di sviluppare tutto il lavoro dai Piccoli Amici agli Allievi. È un po’ giocare al Tetris, perché dal lunedì alla domenica ci alleniamo tutti i pomeriggi e giochiamo le mattine e i pomeriggi del weekend, quindi è veramente un po’ incastrare il modello Tetris tutti gli allenamenti, le partite e gli orari. Però, essendo di nuova generazione e appena costruito, noi in questi quattro giorni dove, tra partite e allenamenti sospesi, le altre società si trovano in grande difficoltà perché si allenano nel fango, noi stiamo facendo l’attività a pieno regime e in una situazione d’eccellenza. L’ideale sarebbe avere un secondo campo qui a Treviso, per poter aumentare la qualità del prodotto e del servizio. Però noi, adesso, siamo con 340 tesserati, in una struttura d’eccellenza. Il secondo campo sarebbe la ciliegina sulla torta”.
Come ti rapporti con i ragazzi?
“Sono quasi tutti i giorni in campo, salvo alcune volte che del lavoro d’ufficio da svolgere, che comprende la compilazione dei calendari, piuttosto che accordi con società per amichevoli o spostamenti di orario, piuttosto che avviamento di progetti o la creazione delle lezioni formative che facciamo ai nostri tecnici. Di base, però, sono sempre in campo a visionare gli allenamenti, a parlare con i ragazzi, ad avere il polso della situazione. Con i ragazzi, poi, dipende sempre dall’età, dalla categoria e dal tipo di persona. Nelle categorie più piccole è un giocare e scherzare e mettere sempre su un aspetto ludico tutte le cose che vai ad affrontare. Con i più grandi, invece, a volte bisogna usare sia il bastone che la carota. Hai qualcuno che ha già una personalità formata e quindi puoi parlargli da adulto, qualcuno che è ancora un ragazzino, qualcuno che ha ancora una mentalità bambinesca. Bisogna capirlo e affrontarlo nel modo giusto. Sono varie sfaccettature che bisogna saper affrontare. Non puoi affrontarle tutte alla stessa maniera. C’è a chi serve il bastone, così lo motivi e lo vedi entrare nel ritmo e nella mentalità giuste, c’è chi ha bisogno della carota. C’è chi accetta la critica, chi no. Bisogna prima studiarli e poi affrontarli”.
Cosa serve a loro per arrivare come i giocatori della prima squadra?
“Intanto serve che le pressioni esterne, quelle dei genitori, perché alla fine le pressioni esterne sono queste, non ci siano. È fondamentale che il genitore capisca che il calcio, per quanto possa essere fatto da un ragazzino che le qualità, deve essere sempre visto come un’attività di divertimento e di crescita personale, perché alla fine si impara a stare in gruppo, si impara la collettività, si impara uno sport e si imparano le regole di vita di uno sportivo. Quindi, il genitore in primis deve capire che, per quanto le qualità del figlio possano essere importanti e magari le aspettative non solo sue, ma anche della società o di società esterne siano quelle di fargli fare il salto di qualità per diventare professionista, capire sempre che è un gioco, uno sport e che il ragazzo deve divertirsi. Questa è la prima cosa che dovrebbe capire all’interno del meccanismo ragazzo-famiglia-società. Poi, nello specifico del singolo, per arrivare in prima squadra, se pensiamo a una squadra come il Treviso, che ambisce alla Serie D e negli anni ad arrivare ancora di più in categorie superiori, serve la determinazione, la voglia e il lavoro. La cosa scontata è dire le doti naturali. Se uno è bravo è bravo. Chiaro che se fa un percorso all’interno di un settore giovanile di qualità ha più possibilità di crescere che all’interno di un settore giovanile dilettantistico di basso livello. Però, le qualità tecniche, ho le hai o non le hai. Quello che sta succedendo a Treviso, con quello che stiamo mettendo in piedi, sicuramente sta dando la possibilità ai ragazzi di lavorare in un ambiente altamente qualificato che li fa crescere rispetto ad altri posti. Tant’è che abbiamo già giocatori in ottica professionistiche dai 2009 ai 2011. Lavorare in un settore giovanile che è formato, che ha un’idea e che ha dei tecnici preparati, ti dà un quid in più per poter diventare un giocatore di qualità, da professionisti, da Serie D o Serie C. Certo che le qualità intrinseche del ragazzo servono e non le pressioni esterne dei genitori. Quello è fondamentale”.
Tra prima squadra e settore giovanile che legame c’è?
“C’è un legame, perché ogni tanto i giocatori della prima squadra qui a Treviso vengono a vedere gli allenamenti, vengono a salutarli, e i ragazzini vanno allo stadio a veder la partita, frequentano la tribuna incitando i ragazzi. C’è una sorta di minimo interscambio tra uno e l’altro. Adesso diventa un po’ più difficile qui a Treviso perché il settore giovanile si allena da una parte, la prima squadra da un’altra. Chiaro che se avessimo la possibilità di avere un centro sportivo in cui tutti si allenano insieme, sarebbe la cosa ideale. Far conoscere ai bambini come lavora, come vive un giocatore di prima squadra, e far vedere ai giocatori tutto il percorso che stiamo costruendo e che i ragazzini fanno per poter arrivare magari un giorno a giocare per il Treviso in C o D o quel che sarà. Però, c’è un minimo di connessione adesso, perché la disponibilità dei ragazzi della prima squadra è grande e spesso vengono a trovarci”.
Domani gioca la prima squadra contro la Liventina, squadra in cui hai anche lavorato. Che esperienza hai vissuto? Hai notato differenze tra i due settori giovanili?
“Alla Liventina sono stato quattro anni prima di andare in Giappone per l’Inter. Quindi, della Liventina posso solo dir bene, perché sono arrivato lì per gestire il centro di formazione dell’Inter e da lì in poi ho avuto la possibilità di fare quell’esperienza unica. La Liventina è un punto di riferimento per il movimento giovanile in Veneto e in Italia. Dal 1996 questa realtà porta giocatori a tutto il mondo professionistico italiano. Negli ultimi anni all’Inter, ma ancora prima al Milan e all’Atalanta. Due persone di grandissima competenza, come Otello Di Remigio e Bruno Cover, hanno avviato questo progetto e anche adesso il secondo sta ancora portando avanti e raccogliendo i frutti di quello che è stato fatto in questi anni. Quindi, della Liventina si può solo parlar bene e si può solo cercare di emulare quello che hanno fatto, perché i giocatori che sono andati nei professionisti, vedi Matteo Rover che adesso gioca al Sudtirol, è la prova che quello che hanno costruito è qualcosa di valido”.
Prima hai accennato all’esperienza che hai fatto con l’Inter Accademy Japan. Me la racconti? Ciò che hai appreso lo metti in pratica anche adesso?
“L’esperienza è stata un’esperienza di vita clamorosa. Prendere e andare dall’altra parte del mondo, in Giappone, che è un Paese completamente diverso dal nostro, è stata un’esperienza fantastica e che mi ha cambiato del tutto, perché una cosa del genere ti segna davvero. L’Inter mi ha dato questa possibilità e ho preso la palla al balzo. Sono stato lì per quattro anni. Avevamo un’accademy che contava sia le squadre Elite che facevano il campionato giapponese, sia la Soccer School, dove vengono ad allenarsi bambini di ogni età solo per la passione verso il gioco del calcio, e abbiamo ottenuto ottimi risultati sia dal punto di vista organizzativo che da quello tecnico. Il Giappone è una realtà fantastica e a me non ha sorpreso che sia arrivato a giocarsi i quarti di finale ai rigori. Un bambino giapponese ha una tecnica che è completamente superiore rispetto a quella di un bambino italiano. Un investimento importante di società europee in Giappone, secondo me potrebbe portare dei risultati di qualità nel portare a casa giocatori di qualità da quel territorio. Il Giappone, di per sè, è una realtà che ti cambia la vita, perché la qualità e il modo di vivere, la cultura millenaria, non ti escono più. Sono tornato da due anni, ma il Giappone resta lì e prima o poi ci tornerò in qualche maniera, magari anche per lavorarci. Lì ho appreso la capacità di organizzare e l’importanza di avere sempre un plan del lavoro che si va a fare. Loro hanno una meticolosità e una scrupolosità nel lavoro che è pari a nessun altro nel mondo. Poi, loro peccano nel fatto che la fantasia mancano, ma è chiaro che se sei concentrato sul sistema analitico, quello situazionale viene meno. Però, da loro ho portato a casa una grossa competenza nel saper organizzare a livello societario e settore giovanile”.
Stalkerandoti sui social ho notato che hai una passione per il ciclismo. Me la racconti? E tra ciclismo e calcio e il lavoro che fai che connessione può esserci?
“Credo che l’unica connessione è che entrambi sono due sport. La passione per il ciclismo è qualcosa che nasce da fin quando ero piccolo. Guardavo il Giro d’Italia o il Tour de France in divano con mio papà. Quindi è proprio una passione di famiglia, come abbiamo la passione per l’Inter. Diventare parte di questa società è stato un sogno. E da lì, da quel divano, il ciclismo l’ho intrapreso come passione come sport. Non l’ho mai fatto in maniera agonistica, ma adesso mi iscrivo più che volentieri a qualche garetta, perché la fatica del ciclismo è una fatica che ti dà delle soddisfazioni clamorose. Arrivi a casa da un giro che sei morto, ma morto felice. Il ciclismo è proprio una grande passione che mi è entrata dentro e appena posso monto in sella. Forse al calcio servirebbero la passione e la fatica del ciclismo. Un calciatore dovrebbe capire quanto ci mette un ciclista per realizzare il suo sogno e il suo lavoro. Probabilmente potrebbe cambiare qualcosa nel mondo del calcio. Questa è una connessione che dovrebbe esserci tra i due sport”.
Chi li vince i Mondiali?
“Francia, a malincuore, ma credo la Francia”.
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