Pordenone, è una scalata clamorosa: Vicenza e la prima fuga, i silenzi di Bolzano, il Rocco ostile, la bellezza di Dionisi e il rilancio del Padova
lunedì 25 Novembre 2019 - Ore 09:00 - Autore: Dimitri Canello
In questo fine settimana ho visto quattro partite: Pordenone-Perugia, Empoli-Venezia, Padova-Rimini e Triestina- Südtirol. Il sabato pomeriggio è stato entusiasmante, sia da semplice spettatore che da appassionato di calcio come sono da quando ero bambino. Comincio dicendo che sono sinceramente ammirato e e stupito positivamente dal Pordenone, protagonista di una scalata clamorosa. Nel 3-0 al Perugia c’è tutto il meglio del meglio di quello che si può chiedere a una squadra: pressing alto, triangolazioni, sovrapposizioni, bravura nei calci da fermo pure senza il telecomando di Burrai, azioni da playstation, singoli inseriti in un gruppo che gioca a memoria, giocate d’alta scuola. Un lavoro meraviglioso, quello fatto dalla società e da Attilio Tesser. L’aspetto più incredibile è quello legato al rendimento casalingo: sette partite, cinque vittorie, due pareggi, zero sconfitte. Ero convinto che l’esodo forzato a Udine sarebbe stato un problema e non un punto di forza e invece la squadra ha saputo trasformare questa zavorra in un segnale limpido e incontrovertibile di quanto ci creda. Non so dove possa arrivare il Pordenone, non so se riuscirà a fare qualcosa di inimmaginabile, so però che non c’è altro da fare che applaudire, perché Lovisa sta scalando una montagna a mani nude e non solo non cade, ma sale a piccoli passi arrampicandosi sulla parete scoscesa senza il minimo tentennamento. Insomma, un rendimento clamoroso, che va riconosciuto senza “se” e senza “ma”. Siamo al 25 novembre e sono passate tredici giornate, non tre, non può essere e non è il fuoco di paglia che talvolta accompagna le neopromosse quando scalano le classifiche dopo una promozione.
Un po’ più in basso c’è il Cittadella che fallisce col Pisa l’aggancio al secondo posto ed è una grande occasione sprecata per come il destino aveva apparecchiato la tavola a Roberto Venturato e ai suoi ragazzi. Il tecnico ha sottolineato che la squadra ha costruito otto occasioni da gol, ma il pari stavolta sono due punti persi, anche se per come si era messa la partita poteva finire persino peggio. Un’altra partita che ho visto è Empoli-Venezia: penso che fossero anni che non si vedeva il Venezia giocare così bene. Anche al Castellani, scambi palla a terra nonostante la pioggia torrenziale, gioco sempre propositivo, gruppo che viene prima di tutto il resto, scelte di Dionisi che possono apparire incomprensibili ma che, a ben guardare, hanno un filo logico. Chi avrebbe tolto Aramu, Bocalon, o Capello la partita dopo un gol segnato? Credo nessun allenatore, o ben pochi allenatori. Il messaggio che Dionisi vuole trasmettere è tutto racchiuso in quell’abbraccio di gruppo di fine partita, un’immagine bellissima che spiega ogni cosa. Il singolo viene dopo, la ruota gira ma tocca a tutti prima o dopo sperimentare l’amaro calice di una mancata conferma dopo una rete. Per fare questo dev’esserci dietro le spalle una società che crede nell’allenatore e lo appoggia e in questo senso il lavoro di Fabio Lupo è impagabile. Un vero valore aggiunto. Poi, chiaro, non è il paese dei balocchi e magari a gennaio Lakicevic, tanto per fare un nome, se ne andrà, così come magari davanti qualcuno potrebbe fare le valigie. Ma il senso è chiarissimo, come è chiarissimo che per la seconda volta come ad Ascoli la squadra non si arrende e rimonta a un avversario più forte, nonostante un vento contrario impetuoso, due legni, due clamorosi errori sottoporta.
Scendiamo di un gradino e passiamo alla Serie C. Vicenza-Ravenna 1-0, Vicenza-Fano 2-1, i campionati si vincono anche così, non soltanto con i 3-0 a San Benedetto e a Trieste. Il Vicenza ha qualcosa in più di tutti gli altri fino a questo momento. Magari non una voragine, ma ce l’ha e i quattro punti di distacco dal gruppo delle seconde lo testimoniano e certificano la prima fuga. Oggi hanno segnato Saraniti, che proprio nelle ultime ore Radio Mercato voleva in partenza in direzione Sud Italia dopo una prima parte di stagione non esaltante e per fare spazio a un primattore dalla B e Marotta: sono i gol pesanti dell’attacco, che dimostrano come la rosa ampia sia sempre e comunque una garanzia granitica. Ha perso il Südtirol, che ha vissuto una settimana tribolata fra questione biglietti per il big-match del Druso proprio col Vicenza e la polemica di una parte della tifoseria sulla denominazione sociale. Una cosa vorrei dirla a Walter Baumgartner, presidente del club, un imprenditore che, assieme ai suoi compagni di avventura, ha fatto tantissimo per questa società. Se si vuole diventare grandi (e il club ha tutti i mezzi e le potenzialità per farlo, con un lavoro tecnico capillare fatto grazie a un bravissimo dirigente come Paolo Bravo e con una politica societaria gestionale impeccabile), non si può pensare sempre di evitare di affrontare i problemi che ci sono inevitabilmente quando finisci sotto i riflettori. Un esempio può essere la questione biglietti della partita col Vicenza. Il silenzio incomprensibile dopo un errore fatto (prevendita aperta senza comunicazioni, che non è la fine del mondo, ci mancherebbe, ma che meriterebbe dopo una settimana almeno un comunicato di chiarimento del club) fa capire tante cose. Errare è umano, sbagliamo tutti, ma di fronte all’evidenza di qualcosa che non è andato come avrebbe dovuto far finta di nulla non è certo la soluzione. Il problema del seguito allo stadio, inoltre, esiste, il fatto che la realtà altoatesina sia molto frastagliata e caratterizzata da forte localismo porta nei comuni limitrofi centinaia di persone che preferiscono assistere a una partita di calcio dilettantistico del proprio paese perché gioca il cugino, il figlio o l’amico piuttosto che venire a Bolzano a vedere la Virtus oppure il Südtirol. Lo ha ricordato il presidente della Virtus Bolzano Robert Oberrauch, che ha rilasciato in settimana un’intervista a tal proposito molto chiara e interessante nella sua franchezza di un uomo di sport che prova a spiegare la realtà bolzanina. La politica aggregativa del Südtirol è esemplare, non altrettanto far finta che non esista un problema e addirittura chiedere che non se ne parli. Se il Südtirol vuole bussare al piano superiore deve aprire la propria comunicazione all’esterno, senza vedere fantasmi ovunque, ma gestendo anche la popolarità di una squadra che cresce e che, inevitabilmente, fa parlare di sé nel bene (tanto) e pure nel male (se così si può definire la difficoltà ad attrarre tifosi allo stadio). Senza tifosi neanche con un nuovo stadio alla lunga non si va da nessuna parte, la strada è irta d’ostacoli, può portare molto lontano, ma sotto questo profilo qualcosa deve cambiare.
Sotto l’aspetto tecnico, se è vero che Triestina – Südtirol è stata decisa da un episodio, è altrettanto vero che, dopo la settimana appena trascorsa, un ko al Rocco diciamo che non era esattamente una sorpresa assoluta. Il Südtirol poteva vincere e si è accontentato, alla fine ha trovato la classica buccia di banana (un liscio di Polak) ed è arrivato il ko. Non è certo un dramma, ma è un segnale che adesso tocca a Vecchi, Bravo, Pfeifer e Baumgartner interpretare nel modo corretto. La Triestina si prende tre punti, ma è ben lontana dall’aver risolto i propri problemi. Segna Mensah, uno che non sembra esattamente nelle grazie di Gautieri, la squadra sembra un’accozzaglia di individualità in cui ognuno gioca per se stesso e in cui si sopravvive perché ci sono valori tecnici innegabili. Detto che giocare in uno stadio ostile non è facile per nessuno, a gennaio credo che cambieranno tante cose, ci saranno partenze e arrivi, perché in questa situazione pensare di poter salvare la stagione mi sembra veramente complicata. Oltre alla partita del Rocco, ho visto Padova-Rimini. Una partita giocata su un campo che assomigliava a un acquitrino e in cui su una delle due fasce era praticamente impossibile giocare. L’ha decisa una prodezza di Mandorlini, cambio azzeccato di Sullo. Che ha avuto l’intuizione di estrarre dal cilindro il giovane Piovanello e che insiste su Mokulu, il giocatore più pagato della rosa, che continua a non segnare e a non vedere la porta e a cui non può bastare certamente il lavoro che fa per la squadra. Dopo tre sconfitte consecutive e gli strali infrasettimanali di Sogliano contro gli arbitri, il Padova rivede un po’ di luce. Dire che va tutto bene, però, non sarebbe corretto. L’attacco continua a non segnare per la quarta partita consecutiva, 360 minuti senza gol non possono essere soltanto un problema di squadra o di baricentro. C’è dell’altro e una chiave potrebbe essere la troppa abbondanza in rosa davanti abbia creato un piccolo cortocircuito. Sei punte per due posti (o tre se si gioca col trequartista) sono forse troppi: Bunino sembra destinato a cambiare aria a gennaio, Pesenti dopo un inizio promettente si è inceppato e Soleri, pur avendo qualità, è acerbo. L’impressione è che a gennaio qualcosa in questo reparto accadrà. La punta da 20 gol, del resto, la cerca il Vicenza, la cerca il Padova, la cercano il Südtirol, la Triestina, in B il Cittadella e forse non la cerca il Venezia, che pure non segna a raffica.
Dulcis in fundo la Serie A. Il Verona vince davanti a 22mila spettatori una partita emozionante, in cui l’anima del grande Roberto Puliero evidentemente ci mette una mano da lassù e Juric sale ancora, continua a non subire gol ed è addirittura nono in classifica con la seconda miglior difesa della Serie A. Impensabile, a inizio stagione, bravo chi ci ha creduto e ha permesso tutto ciò. L’Udinese perde a Genova e adesso dovrà chiarire una volta per tutta se si andrà avanti con Gotti, oppure se c’è qualche altra idea che bolle in pentola. Perché l’incertezza non fa bene a nessuno e le sicurezze che circolano nell’aria negli ultimi giorni e che parlano di una permanenza dello stesso Gotti fino a giugno andrebbero chiarite una volta per tutte. Navigare a vista non è mai una buona idea
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