Padova e Vicenza a razzo, Triestina alla rovescia, Pordenone in volo, Juric e Venturato da sballo, Dionisi promosso: e finalmente il Chievo…
lunedì 7 Ottobre 2019 - Ore 23:41 - Autore: Dimitri Canello
Ventiquattro ore dopo le consuete abitudini, eccoci di nuovo a parlare di campionato. Anzi, di campionati. Perché c’è Vicenza-Cesena al Monday Night e per tracciare una linea continua serve attendere il posticipo del Menti. Personalmente avevo scommesso sulla vittoria del Vicenza, per una serie di motivi. Perché il Cesena gioca sì un ottimo calcio, ma offre il fianco a volte all’avversario e perché alla fine la differenza la fa la qualità e contro avversari che qualche spazio lo concedono i biancorossi possono fare male. Detto, fatto. 2-1 servito, vince la qualità, al netto di un rigore che non c’è e di un altro che magari sarà cercato ma non è certo uno scandalo. Qualità, dunque. Come quella di Jari Vandeputte, una scommessa vinta soprattutto da Giuseppe Magalini, che ha puntato a occhi chiusi sul belga. Da mezzala, non da esterno offensivo com’era nato e cresciuto. Una metamorfosi davvero da applausi, avvenuta in tempi rapidissimi. Ben più rapidi, tanto per fare un paio di esempi calzanti, di Nizzetto e Falzerano, che ci hanno messo più tempo a ingranare in quel ruolo. Il Vicenza, dunque, va, ma il Padova è inarrestabile. Vince pure quando non gioca bene, sa soffrire come ricorda nel post gara un bravo Alberto Colombo, che mette in campo un Arzignano da applausi almeno per un’ora abbondante. Sette vittorie in otto partite sono una sentenza, impossibile presentare obiezioni, che per ora sembrano deboli, capziose, artefatte. Come si poteva immaginare a inizio anno, Vicenza e Padova erano fra le favorite, ma nessuno poteva prevedere una partenza così di Salvatore Sullo. Che per ora ha letteralmente demolito lo scetticismo che ne aveva circondato l’arrivo. Merito anche di Sean Sogliano, un fuoriclasse dei direttori sceso in Serie C a tentare di riportare il club in B al primo tentativo. Bravo nella costruzione della squadra e pure a gestire la settimana, cosa che va di pari passo alla capacità di comprare i giocatori giusti e a creare l’amalgama giusta, inizialmente assai complessa. Per ora fra Padova e Vicenza le differenze sono minime. A Di Carlo manca forse un ricambio a centrocampo della qualità di Davide Buglio, mentre in attacco sinora il Vicenza sembra avere qualcosa in più rispetto al Padova. Soprattutto se Gabionetta non riemergerà dalle ceneri di un infortunio (arrivati a questo punto) misterioso e se Pesenti non irromperà in squadra alla sua maniera mantenendo fede alla sua tradizione di attaccante da doppia cifra e che sa attaccare la profondità.
Alzi la mano chi, il 7 ottobre, poteva immaginare che la Triestina fosse praticamente già fuori dai giochi per il primo posto. Dodici punti di distacco dal Padova, otto dal Vicenza. Insomma, il mondo è andato alla rovescia a Trieste e dintorni. E, dopo l’esonero di Massimo Pavanel, per la prima volta stento a capire Mauro Milanese. Indiscutibili le sue capacità dirigenziali, ampiamente dimostrate in questi anni, ma mi sfugge quale strategia ci sia dopo aver cambiato l’allenatore. Sin lì nulla da eccepire: gli scricchiolii dello spogliatoio rumoreggiavano nel silenzio, la squadra si era inceppata e lo 0-3 del Gavagnin dopo 30 minuti aveva fatto capire tutto. Esonero di Pavanel: nulla da eccepire, in quel preciso contesto e con gli indizi emersi, chiari, lungo il percorso. Indicazione del sostituto, con mirino puntato su Giuseppe Pillon: perfetto, l’uomo giusto al posto giusto. Solo che Pillon, evidentemente, ha cambiato idea rispetto a quanto pensava Milanese, perché non posso credere che un dirigente scafato e navigato come lui non avesse un piano B. Poteva essere Andrea Sottil, ma liberarsi dal Catania a volte è come provare a togliersi le catene senza avere la chiave. Poi c’è stato Gautieri, per cinque giorni virtualmente l’allenatore in pectore ed evaporato da un momento all’altro, senza dimenticare il sogno Del Neri, quasi afferrato e poi anch’esso sfumato. Nulla contro Nicola Princivalli, ma non può essere lui l’uomo della rinascita. Sono arrivati due successi con i singoli, però una squadra va anche allenata, oltre che gestita. Insomma, ci vuole un uomo dalle spalle larghe e soprattutto non si può annunciare il mercoledì che il lunedì successivo arriverà il nuovo tecnico e poi emettere una nota in cui si usa il termine “traghettatore” confermando Princivalli. Il ko con il Ravenna è un pentolone con un mix letale di ingredienti: errori clamorosi, pali, traverse, sfortuna, recriminazioni arbitrali. Il tutto fa una pozione con una gigantesca “X” rossa come etichetta. Veleno puro, tossico, quasi letale: non regge più neppure aggrapparsi a un rigore non dato, perché anche dando per assodato che l’arbitro abbia sbagliato a forza di lamentarsi si creano alibi alla squadra e l’errore di Scrugli è imperdonabile, senza riuscire ad assolvere del tutto neppure Offredi. Tocca ai giocatori, ma tocca soprattutto a Milanese trovare una soluzione che non sia provvisoria. Come quel termine “traghettatore” suggerisce sin dalla sua genesi. Può, una squadra in finale playoff lo scorso anno, rinforzata nei punti giusti con giocatori di qualità, essere improvvisamente un flop totale? Può essere che tutti si siano completamente sbagliati? Nella vita tutto può essere, ma i valori ci sono e serve solo la persona giusta per farli emergere assieme all’ad. Quanto fatto l’anno scorso non si cancella, anzi è lì a ricordare che seguendo una traccia coerente si arriva lontano. Nelle difficoltà ci si ingegna, Milanese ha le risorse per reagire.
Il Pordenone è in volo. Resiste eroicamente undici contro nove a Verona contro il Chievo, poi si rimbocca le maniche e batte l’Empoli. Con una partita a prova di bomba. E’ vero che il rigore dell’1-0 non c’è, ma non c’è neppure quello poi fallito per l’Empoli e l’espulsione di Bandinelli non fa una grinza. Per cui le lamentele di Bucchi vanno circoscritte e nessuno può togliere meriti ad Attilio Tesser. Sempre più bravo, capace, attento, sapiente distributore di maglie a seconda delle esigenze di sorta. Bravissimo, come Ivan Juric, che sforna un miracolo dopo l’altro, manco fosse un’entità soprannaturale. E qui entrano in gioco altre componenti, quel mix di caratteristiche personali e caratteriali che possono incastrarlo con Verona, che amò alla follia Cesare Prandelli in un momento societario particolare e che adesso si sta innamorando di un nuovo condottiero. Bravissimo, come Roberto Venturato, che non ha perso la testa quando infuriava la tempesta e che adesso torna a correre veloce verso dove non si sa. Ma il Cittadella, è ufficiale, è tornato e gli spettri che volteggiavano sopra la città murata sono stati prontamente allontanati.
Pausa, dunque. Si fermano Serie A e Serie B e si può dire senza esitazioni che a Venezia, sino a questo momento, Alessio Dionisi meriti un voto alto. Promosso a pieni voti, quando il campionato è ancora all’alba. Pareggia con le unghie e con i denti a Cosenza, fa 8 punti in 4 partite fuori casa e pazienza se sinora al Penzo se n’è aggiunto appena uno. Il tasto “still” innestato per il secondo pit-stop ottobrino può fare molto comodo, soprattutto se gli infortuni la smetteranno di picchiare duro. Non è fuori dal guado l’Udinese, che gioca bene a Firenze ma che non porta a casa nulla, mentre finalmente il Chievo batte un colpo. Anzi, quattro, come il poker in rimonta che fa esplodere di gioia Michele Marcolini. Si fa un bel regalo di compleanno, in attesa dell’Ascoli, scacciando incubi e fantasmi che cominciavano ad aleggiare al quartier generale di via Galvani. Può essere un nuovo inizio, soprattutto se a livello societario non ci saranno altre scosse di terremoto.
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