Le squallide minacce di morte a Balata, la Serie B a 19 squadre e il grottesco caso-Chievo
domenica 19 Agosto 2018 - Ore 23:44 - Autore: Dimitri Canello
È notizia di oggi, ma era già filtrato qualcosa nei giorni scorsi, che il presidente della Lega di Serie B Mauro Balata è stato minacciato di morte ripetutamente. Minacce di morte squallide, al vaglio della DIGOS precise e circostanziate, con tanto di elementi inequivocabili e di luoghi in cui passare dalle parole ai fatti. Mail al vaglio delle forze dell’ordine, che dimostrano quanto alta sia la posta in gioco nella questione ripescaggi nella cadetteria. Mail che dimostrano l’intollerabile escalation al ribasso che circonda il calcio italiano e che tenta di trascinare nel fango l’intero movimento. Un movimento senza regole, senza certezze, in cui prevale sempre la logica di parte e in cui le normative a cui attenersi sono costantemente un optional che è sempre possibile aggiustare per i propri interessi. Parlare di diritto sportivo per un giornalista equivale a un’autentica roulette russa, visto che costantemente ogni certezza giuridica viene calpestata.
Parliamoci chiaro: la decisione di passare da 22 a 19 squadre nel format della categoria è stata sbagliata nei tempi e nei modi, sappiamo perfettamente che per statuto federale è stata compiuta una forzatura e che un campionato a numero dispari fa rabbrividire, ma se entriamo nel merito della questione invitiamo i lettori a riflettere. E non possiamo che condividere la coraggiosa mossa di Balata. Innanzitutto: tutti i 19 club hanno sottoscritto il documento poi ratificato dalla Figc a proposito della riduzione delle squadre partecipanti al campionato cadetto. In questo modo è evidente che la questione ridotta dalla controparte interessata meramente a un presunto interesse economico di parte, in realtà non può esserlo affatto: perché chi agita le folle e minaccia rivolte popolari finge di ignorare che approvando la B a 19 squadre all’unanimità diversi club hanno certificato l’aumento del rischio di retrocessione che coinvolge loro stessi in prima persona. E avranno sì, più soldi da spendere, ma allo stesso tempo non hanno certo imboccato la direzione che sarebbe stata per loro più conveniente, con un rischio retrocessione che come noto porta con sé spesso e volentieri catastrofi economiche di immani proporzioni. Sarebbero sempre quattro, infatti, le squadre relegate in Serie C, sia con le 19 che con le 22 squadre. Basta un semplice calcolo matematico per rendersi conto quanto è aumentato il rischio per le 19 partecipanti di finire in Serie C. Ora: è accettabile cercare di infangare o, peggio, minacciare di morte e intimidire chi cerca soluzioni a un calcio malato che perde tre squadre (!!!) in un campionato, che dimostra di non saper trovare soluzioni se non di comodo, che iscrive squadre che si sa già che non finiranno la stagione, che fa acqua da tutte le parti?
Tanto per cominciare: il ripescaggio non è un diritto, ma una facoltà della FIGC ed è semplicemente ridicolo che club che neppure hanno partecipato alla finale promozione, come il Catania, minaccino rivolte popolari se non verranno ammesse in B. È ridicolo anche chi grida al rispetto del regolamento e contemporaneamente prova a farlo cambiare a colpi di carte bollate in tutti i gradi di giudizio per interessi di parte. Per quanto può contare questo sito, seguito da migliaia di appassionati del Nord-Est del calcio italiano e che porta con sé quattro squadre del campionato cadetto come Hellas Verona, Padova, Cittadella e Venezia, invitiamo il presidente Balata a non lasciarsi intimidire. L’aria che tira, purtroppo, non è buona e temo fortemente che il Coni ribalterà presto nuovamente tutto. Per quanto mi riguarda, però, esprimo tutto il mio apprezzamento a Balata per quanto sta tentando di fare. Nella sostanza, molto più che nella forma, era qualcosa che nessuno aveva mai tentato prima.
Chiudo con il caso-Chievo e la questione plusvalenze. In un sistema che assomigli anche solo vagamente a qualcosa che funzioni, un procuratore federale che sbaglia procedura formale, che non riesce ad emettere un giudizio nei tempi previsti di fronte ad accuse così gravi e che si ritrova ad aver rimandato a campionato iniziato una questione tanto delicata, il giorno dopo il fatto dovrebbe dimettersi senza neppure attendere un secondo in più. O, se non lo fa, qualcun altro dovrebbe prendere quella decisione per lui. Ognuno può pensarla come crede (abbiamo letto le carte, sia dell’accusa che della difesa e un’idea ce la siamo fatta), ma non decidere è qualcosa di profondamente inaccettabile. In un modo o nell’altro, prima che il campionato iniziasse, era obbligatorio avere un verdetto. Qualsiasi esso fosse. Così è solo l’ennesimo schiaffo alla credibilità di un sistema che semplicemente non funziona. O peggio: a cui conviene non funzionare. L’unica soluzione possibile è sotto gli occhi di tutti: che la Giustizia sportiva, così come l’Aia, siano organi indipendenti dalla FIGC. Una questione talmente elementare che chi fa finta di non vedere è complice e parte integrante di questo incommentabile e altrettanto squallido teatrino.
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